Un piccolo libro, ma ricco di spunti interessanti, e soprattutto ispirato da un vero amore per la liturgia. L'autore è un monaco benedettino dell'abbazia di Saint-Martin de Ligugè in Francia, e insegna all'Istituto Superiore di Liturgia a Parigi.
Sin dalle prime pagine emerge quella che ci pare essere la tesi di fondo, e cioè che la liturgia non è proprietà di nessuno e non può essere oggetto di valutazioni soggettive. Purtroppo, nell'era dei centri commerciali si va a cercare anche nel supermercato ecclesiale ciò che si trova di conveniente; la liturgia diventa allora un genere di consumo tra tanti altri; si strumentalizza, si condisce con il proprio gusto individuale e individualista, ciò che nel suo fondamento è accoglienza, gratuità, atto di adorazione".
Pare curioso che un testo che tratta della bellezza della liturgia ne rivendichi nel contempo il carattere oggettivo; non siamo portati a considerare la bellezza una questione di gusti personali, di valutazioni soggettive? In effetti la questione non sta in questi termini, e basta riferirsi alla tradizione teologica occidentale (un nome su tutti: San Tommaso d'Aquino) per cogliere in modo inequivocabile il nesso tra la bellezza e la verità, dove quest'ultima rappresenta la sfera di ciò che per definizione non può mutare e richiede di essere riconosciuto dalluomo nella sua oggettività.
La liturgia non è azione delluomo, anzi deve caratterizzarsi proprio per il suo essere sacramento, cioè atto di Cristo, gesto di Cristo: Che cosa si vede? Si vedono dei gesti compiuti dai ministri della chiesa, e ognuno con una sua funzione, certo, ma attraverso questi gesti, attraverso i nostri gesti, ciò che si vede sono i gesti di Gesù Cristo in persona.
L'autore a questo punto cita San Paolo, il quale enuncia la regola d'oro della prassi liturgica: "Tutto avvenga decorosamente (euschemònos) e con ordine (katà tàxin) (1 Cor 14,40). Abbiamo qui due termini essenziali per un'estetica della liturgia: schema (forma) e tàxis (ordine). La liturgia richiede obbedienza alla forma e all'ordine che Dio stesso ha immessi in essa. E' necessario, affinché emerga la forma e l'ordine di Dio, che vi sia una rinuncia, una spoliazione da parte dell'uomo, che accantona ogni soggettivismo e ogni valutazione individualistica per entrare nella sfera dell'oggettività e della verità; l'esercizio della liturgia suppone sempre, per pervenire allo scopo, una sorta di rinuncia da parte nostra, con la quale accantoniamo i nostri turbamenti, i nostri affetti più immediati e incontrollati, mettiamo tra parentesi le priorità egoistiche del momento".
In definitiva, la liturgia "è sempre il contraccolpo di un evento che ci supera. Dobbiamo anzi vegliare attentamente che nulla comprometta questa dimensione trascendente, essenziale alla liturgia, nulla che sia imputabile alla nostra negligenza, al fatto che ci siamo assuefatti, o anche a quella banalità che si nasconde dietro al pretesto della partecipazione attiva o di un'atmosfera bonacciona".